Giovanni Buzi, Testa (2009)

Lodovico Gierut: Per Visi

 Prefazione al libro di Giovanni Buzi e Marcella Testa, Visi, 2009

Visi è un’opera letteraria, ma al contempo – arricchita da dieci recenti lavori pittorici di Giovanni Buzi, relativi a una serie trentennale di dipinti eseguiti in massima parte a tecnica mista – diventa una sorta di documento a immagini che si unisce mirabilmente al testo a quattro mani degli autori.
Libro, catalogo, o altro?
Secondo noi è un po’ di tutto, anzi – usando termini forse desueti – lo definiremmo una miscellanea d’alto livello dove il lettore-osservatore può trovare un dialogo letterario con attente riflessioni, un tratto da monografia d’arte, e un testo che potrebbe essere usato in ambito teatrale, con i Visi di Buzi per le scenografie.
Dicevamo delle quattro mani, e, in effetti, il testo è nato casualmente allorché Marcella Testa, vedendo le “teste” di Giovanni Buzi su facebook, ha cominciato a commentarle, con quest’ultimo che le ha poi chiesto di proseguire assieme. C’è stato un inizio e lui ha risposto in italico e così via, creando una finzione con domande e risposte. Lui era il pittore che interrogava i visi che aveva dipinto, e lei l’anima intima di tutti i visi, la quale, sentendosi interrogata, affrontata e in certi casi pungolata, rispondeva cercando di dar voce alle immagini dipinte. Magia e potenza, a volte, dell’amicizia poetica. Marcella Testa, con rara sensibilità, ha saputo farsi voce viva di tali visi, con i quali ha saputo inanellare un dialogo intimo e segreto.
Ecco che da parte del pittore è iniziato un tentativo, aiutato da Marcella, di esplorare ancor di più la pittura, di frugarla, di immergersi in essa come fosse un oceano nel quale ci si può perdere, ma anche trovare, ritrovarsi, scoprire frammenti sparsi mobili e luminescenti; la nostra coscienza profonda?
I visi mi inquietano, mi riposano, mi terrorizzano, mi interrogano: tutti i visi” – afferma Buzi, così continuando – “Quelli incontrati per una frazione di secondo per la strada, quelli conosciuti, amati. Anche quelli che non conosco e rimangono sopiti dentro di me, per poi, a volte all’improvviso, apparire”.
Dunque, come sappiamo, da quando l’artista ha iniziato a disegnare, dalle elementari alle medie e così via, essi sono stati uno dei temi preferiti: forse non lo sa neanche lui con esattezza, ma si sente bene faccia a faccia con un altro viso. “Il mio?” – all’interrogativo così risponde – “Forse, a volte sicuramente, ma spesso sono visi che riemergono dall’inconscio, facce che mi sembra di conoscere, ri-conoscere. In ogni caso non mi sono mai estranee”.
Un attimo ancora, indietro, per dire della nostra scelta di aprire una nuova collana – che strano, la collana è una delle simbologie maggiormente presenti in Visi – titolandola come la scultura-monumento di Marta Gierut collocata ufficialmente l’11 febbraio 2006 dall’Amministrazione Comunale di Pietrasanta nelle vicinanze del mar Tirreno, nei pressi di Via Enrico Pea.
Attorno alla grande opera marmorea, scalpellata, c’è parte di una delle poesie di Marta: “Un fiore giallo, rosso blu è sempre un fiore. / Un fiore senza un petalo è sempre un fiore. / Un cigno senza un’ala è sempre un cigno. / L’umano è sempre un umano. / La vita è sempre azioni d’amore”.
I simboli di Visi sono molti, come gli stessi colori delle opere di Buzi: passo dopo passo, senza analizzare in modo ampio il serio e attento lavoro di Buzi e di Testa, dando così a chi sfoglierà le successive pagine di questo volumetto l’opportunità di entrare in un certo scrigno segreto – dove forse taluni si riconosceranno almeno in parte – ecco che ne troviamo in abbondanza, collocati al punto giusto, senza casualità.
C’è l’abbandono, per esempio, il veder scomparire fra le ombre qualcuno che ti è caro. L’impossibilità di ritrovarlo. La possibilità, tremenda di dimenticarlo, tanto che Buzi ci ha così detto: “Quando da bambino sono andato per la prima volta in colonia ho portato con me una foto tessera di mia madre: avevo il terrore di dimenticare il suo viso. Viso bellissimo che, anni più tardi (poi non tanti) il cancro ha attaccato per poi ramificare in tutto il suo corpo, ed infine averla vita”.
E poi l’acqua, l’eterno scorrere, la trasparenza, la metamorfosi dell’acqua che affascina sotto tutti i suoi aspetti, da quello fluido a quello aereo. Da quello solido e traslucido del ghiaccio a quello più soffice e quasi tiepido della neve. L’azzurro intenso del mare, in verde strisciante di certi ruscelli, lo zampillare argento, improvviso delle sorgenti e il tuffarsi aereo e vaporoso delle cascate:
Adoro l’acqua” – afferma ancora – “Testimone ne è il mio per certi versi difficile romanzo, pubblicato da Delos Books nel 2008, Uragano”.
Ovviamente il Nostro è una persona versatile, tuttavia da pittore, come altri, ben pochi altri, toccando i colori si sente bene, dimenticando il male, sentendosi trasportato in un mondo di pace assoluta, un’oasi in cui tutti i colori e le forme tendono a vorticare, placidi, fondendosi poco a poco in una sola forma e tonalità: un infinito bianco latteo.
Dalle dieci opere qui proposte, tutte del 2009, non sono che un nucleo a sé, ma convergono in un viaggio di ben tre decenni, con quest’anno che rappresenta un nuovo punto di partenza – al di là di ciò che è stato già detto – nell’intimo e attorno alla forma, i cromatismi ci dicono di certi meccanismi anche inconsci ove, di volta in volta, la preponderanza dell’uno e dell’altro, ma pure gli abbinamenti e i posizionamenti, concorrono a chiarire le oppure titolate “Viso”, “Testa”, “Testa bianca”, “viso sereno”, “Viso trasparente”, “Testa dalla collana di turchesi” e via dicendo.
Ecco che ritroviamo talune preferenze a indicare la calma dello spirito e la necessità di rilassamento, o di afferrare l’occasione per ristabilirsi: la tenacia e la perseveranza.
C’è il rosso vitale e il bianco della luce, ma talvolta il nero simboleggia la notte svelando la natura doppia di un volto che può identificarsi con la maschera.
Il verde perseverante esiste, come c’è il marrone di sfondo a rappresentare la sensibilità e la sensualità fisica.
Ebbene, dicevamo della maschera, segno artistico ben riscontrabile (Brancusi, Modigliani, Nolde, Picasso...) che qui non altera le proprie sembianze, ma si configura col tratto armonico dove il tutto si codifica in emozioni, in sensazioni, ma finalmente nella creazione della piena libertà dell’artista che pure per mezzo dello scritto si completa mettendosi a nudo, riflettendo assieme al coautore un contenuto di pensiero.
Nella stratificazione delle pagine di Buzi e di Testa ecco il serpente che, come ha scritto Bachelard “... est un des plus importants archétypes de l’âme humaine” (Paris, 1948), o il ragno nelle due dimensioni... ma ecco i capelli a rappresentare certe virtù o poteri. Ci sono quindi gli angeli, gli specchi (la saggezza creatrice), e le foglie, gli occhi e tanto e tanto ancora.
Lui, il viso, è il tema-guida di un tutto che è forse mistero di una chiave perduta, di un “di sé” in parte messo a nudo che svela più del resto del proprio corpo.
“Visi” può configurarsi come un atto di amore di Giovanni Buzi e di Marcella Testa nei confronti altrui. Pagine continue e ininterrotte da leggersi in un fiato, dalle quali emerge un continuo senso lirico composto di felicità e di malinconia, forse di delusioni ma più che altro di interrogativi e di risposte. L’eterno enigma chi siamo, perché esistiamo, dove andiamo? c’è completamente nelle parole e nei segni colore...