Giovanni Buzi, Frammento n. 861 (2003)

Giovanni Buzi: Fluorescenza

 

Paesino vicino Perugia.
Chiesa di Santa Maria Ausiliatrice.
Confessionale.
La signora Marina Sullosfondo è inginocchiata col rosario tra le dita. 86 anni portati alla garibaldina. Qualche acciacco qua e là, ma ci sarebbe più d’uno a metterci la firma per arrivare a quell’età in quelle condizioni.
Credente da sempre, devota da molto, assidua al confessionale da quando è restata vedova, 10 anni fa. Ogni venerdì mattina alle 7 in punto, dopo la prima Santa Messa, è lì ad aspettare seduta al banco di legno, sempre lo stesso. Non è la sola vecchia con gonne e sottogonne scure, uno scialle di lana gettato sulle spalle e un fazzoletto in testa a fare la fila; ce ne sono almeno sette, otto, sempre le stesse.
Nell’attesa, la signora Marina bisbiglia preghiere e di tanto in tanto fa scorrere tra le dita un grano di rosario. Lo sguardo perso sugli affreschi dell’abside. Nella parte inferiore, un rosso fuoco di fiamme e diavoli con ali di pipistrello che infilzano coi forconi i dannati, li stritolano tra gli artigli e cavano loro gli occhi con tenaglie arroventate. Nella parte superiore, uno sfolgorio di raggi e strali d’oro da cui prende il volo una schiera d’angiolotti paffuti che lanciano petali di rose bianche. Quel soffice nevicare cade sui palmi delle mani, sulle tunichelle leggere e sui visi d’altrettante anime belle che rivolgono lo sguardo verso l’alto.
C’è poco da scegliere; meglio il Paradiso. 
La signora Marina tira un sospiro e fa scorrere un altro grano di rosario.
Arriva il suo turno. S’alza e s’inginocchia di fronte alla grata. Fa il segno della croce e bacia l’indice della mano destra.
Non che abbia molto da dire, le solite storie; don Pietro non le ascolta neanche più, le sa a memoria. Qualche parolona urlata dietro alla Gisella, la vacca che da tempo non la rispetta, si dà arie di libertà e sconfina a strappare l’erba sulla terra d’Enrico Pungitopo. Senza contare le cornate che dà alle oche che starnazzano, saltano al di là della staccionata e ci vuole poi del bello e del buono per andarle a ripescare...
Qualche urlaccio contro quel pennuto sconsacrato di Filippo, il gallo. Con la scusa che si fa vecchio e ci vede poco, corre a far la corte ad ogni gallina e pollo, e fin qui niente di grave grave, ma ha iniziato anche a correr dietro alle oche, le anatre, i tacchini, i maiali... Un giorno o l’altro dovrà metterlo in pentola.
Qualche smadonnata purtroppo le scappa anche contro il vicino, quell’Enrico Pungitopo che è una peste da quando la madre l’ha partorito. I loro terreni stanno l’uno accanto all’altro da una vita. Con la prepotenza s’è già rosicchiato una striscia di 50 centimetri buoni di terra. Dice che col trattore non riesce a girare a causa dei peschi e dei ciliegi. È vero, ma chi l’ha piantati proprio sul margine del confine quegli stramaledetti alberacci?
Dovrebbe mettere una palizzata col filo spinato, lo sa, ma anche quella è roba che costa e che ogni mese aumenta, come tutto ormai. Con la sua pensioncella non può certo far miracoli, e ancor meno con quella di reversibilità che le ha lasciato la buon’anima di suo marito.
Poi sì, da quando è rimasta vedova deve confessare i soliti cattivi pensieri... Don Pietro dice che è normale. Non è lei che pensa, ma il Demonio che le scivola in corpo e s’accovaccia dentro al cervello e là resta, proprio come un gattaccio nero in un paniere.
Che non s’esageri niente, quei pensieri non sono poi così cattivi... Lo sguardo ogni tanto le scivola sulle spalle di quel toro del figlio del Pungitopo, quell’Asdrubale che avrà sì o no 18 anni e che da un anno all’altro è cresciuto come un albero stregato e s’è fatto alto, ben piantato con due cosce robuste come tronchi. Il petto forte, le braccia muscolose. Proprio com’era il suo Odoacre quando si sono sposati, 70 anni fa....
- Per forza, tutto il giorno a smanicar con zappa e trattore, aveva aggiunto don Pietro. È una grazia del Signore veder crescere sana e robusta la gioventù! Cara Marina, niente di grave ad ammirare e rispettare l’Opera Sua...
- Sì padre, ma qualche volta lo sguardo scivola là dove non dovrebbe...
- E dove?
- Là, sotto la camicia... un po’ più giù verso...
- Alza gli occhi in cielo e prega il Signore! Te l’ho già detto, è l’unica soluzione!
E Marina lo faceva, lo faceva... La gente si stupiva di vederla in pieno mercato alzare lo sguardo in cielo, giungere le mani e pregare. Eh sì, perché non c’era solo quel torello dell’Asdrubale in circolazione per il paesetto: Andrea, il figlio di Benedetta, Luigi, il fratello di quell’oca giuliva della Silvia, Antonio, il figlio della lattaia, Giuseppe...
Occhi in cielo e mani giunte!
- Quant’è devota Marina!, diceva la gente. Che santa donna! Sta a vedere che si chiude in convento?
Ma di ritirarsi nel vicino convento di clausura del Santissimo Mistero del Divin Bambino, la vecchia non aveva nessuna intenzione. Proprio nessuna.

*

Questo venerdì mattina le dita di Marina sono percorse da un’animazione nuova. I grani rossi del rosario le fremono nelle mani come perle di carne e sangue.
Oggi la signora Marina ha ben altro da confessare che un’occhiatina in mezzo alle gambe dei ragazzoni del paese o un vaffanculo! a quella vacca della Gisella.
Oggi la signora Marina deve parlare di quella cosa.
E non è facile.
Per niente.

*

- Allora Marina, come andiamo?, le fa col solito tono pacato, odoroso d’incenso e cera fusa don Pietro.
- Bene bene...
- La Gisella ha fatto ancora la capricciosa?
- Come al solito.
- Ha ancora sconfinato?
- Sempre.
- Ti sei contenuta? Sei riuscita a non dire brutte parole?
- Don Pietro, faccio quello che posso.
- E... quegli sguardi... quelle occhiatacce?
- Quali?
- Marina, ti sento un po’ strana oggi. Cosa c’è che non va... qualche nuovo acciacco?
- No no, nessun acciacco. È che...
- Che?
- Stanotte.
- Allora?, il prete le getta uno sguardo attraverso la grata.
La vecchia, gli occhi chiari chiari, aveva il solito viso increspato e ceruleo, le labbra sottili e più che un accenno di peluria sotto al naso.
- Don Pietro, si ricorda il pellegrinaggio che abbiamo fatto a Lourdes?
- Eccome! Se non sbaglio è stato 26 anni fa...
- 27.
- Sei sicura?
- Sicurissima. Siamo nel luglio 2003, a Lourdes ci siamo andati nell’aprile 1976: 27 anni e tre mesi, per la precisione.
Non perdeva colpi Marina, pensa don Pietro liberando un profondo sospiro. Che differenza con lui; in certi momenti, non si ricorda neanche più il Salve Regina!
- 27 sì, hai ragione. Allora?
- Si ricorda che abbiamo comprato tutti una bottiglia d’acqua benedetta a forma della Santa Vergine?
- Sì.
- Bèh, è successo proprio questa notte...
- Cosa?
- La Madonna... voglio dire, la bottiglia.
- Allora?
- È sparita.
- Come come?
- Come le dico: la Madonna con l’acqua benedetta dentro è sparita!
Il parroco intreccia le mani sul ventre prominente e si lascia sfuggire un sorriso,
- Cara Marina, succedono tutte a te! In qualche occasione la Madonna è apparsa, bontà Sua... Questa è la prima volta che sento dire che a qualcuno la Madonna è... scomparsa!
- Non la Madonna, la bottiglia.
- Ho capito, la bottiglia fluorescente.
- Ecco, ha detto la parola!
- Quale parola?
La vecchia si blocca, le pupille cercano rifugio verso la finestra, la luce.
- Allora?
Finalmente si decide a parlare,
- Fluorescente!..., dice in una specie d’estasi, lo sguardo spiritato.
Don Pietro, che ne aveva viste in vita sua da riempirci sette Bibbie, prende un sospirone e ripete,
- Fluorescente. Ho capito, quelle bottiglie che si vedono anche di notte.
- Sì ma... a un certo momento, non s’è vista più!
- Marina, c’è gente che aspetta, dice don Pietro accennando col mento alle altre vecchie, che come mucche da mungere davano segni d’impazienza.
- Stanotte mi sono svegliata e la bottiglia stava sul comò, come sempre. Mi sono riaddormentata. Quando dopo una mezz’oretta mi sono risvegliata e... non c’era più! Ho acceso la luce. Mi sono alzata. Sono andata a vedere sul comò dove sta, da 27 anni e tre mesi. Sparita.
- E chi l’avrebbe rubata?
- Nessuno... Ma don Pietro, non capisce? La bottiglia è sparita così fffu, come un soffio!
“Nessuno è eterno, pensa il buon don Pietro, anche la nostra Marina perde colpi; prima o poi, bisognava aspettarselo”.
- E non solo la bottiglia, la notte dopo è stata la volta del comò! Il comò col ripiano in marmo, i cassetti e tutte le vestaglie, camicette, e le altre cose di noi donne...
- Marina, hai bevuto?
- Che dice don Pietro, eppure lo sa che sono astemia! Stavo a letto, e come per la bottiglia... quella luce, quella luce... blu elettrico: un lampo e è sparito!
- Luce o non luce, chi t’avrebbe rubato il comò? Siamo seri. Con tutte le tue cose di donna per di più!

*

Tornando a casa, la signora Marina Sullosfondo era alquanto abbattuta. Non ci si poteva fidare più di nessuno, nemmeno dei preti; che mondo era quello?
Ah, fosse stato ancora in vita suo marito; lui sì, l’avrebbe creduta! Non solo creduta, ma insieme avrebbero cercato una soluzione. E se di ladro si trattava, l’avrebbero preso.
Ma di ladro non si trattava.
Era tutto il suo essere a dirglielo, ogni sua fibra, ogni molecola!
Cosa, allora, cosa?
Il suo Odoacre se n’era andato da 10 lunghi anni. Sfracellato sotto il trattore in un momento di stanchezza, d’inavvertenza, di... nessuno aveva capito com’era potuto succedere. Il fatto è che l’avevano ritrovato che si maciullava sotto quelle lame ritorte e affilate che ruotavano, ruotavano, ruotavano...
Si ferma e chiude con forza le palpebre. S’appoggia al tronco d’un albero e cerca di scacciare quella visione che la tortura da anni.
Quando riapre gli occhi, la campagna è sempre là, calma e pacifica. Le colline ricoperte del giallo oro del grano maturo, qua e là le macchie dei papaveri, dei fiordalisi. Accomoda lo scialle di lana sulle spalle. “Strano, pensa, con questo caldo ho bisogno ancora dello scialle”.
Ormai non lo toglieva più; estate e inverno era vestita nello stesso modo: maglioni, gonne e sottogonne, tranne per un cappottaccio che si buttava addosso nei giorni di freddo.
E accadde, di nuovo... lì sotto ai suoi occhi!
Quella cosa... quella fluorescenza!
Di pieno giorno era la prima volta!
Un albero, tutt’un albero brilla, si fa azzurro chiaro e puff, scompare!
No!... a chi avrebbe potuto dirlo, a chi, se neanche don Pietro le aveva creduto?
Corre a casa, nella fattoria che confina con quella del Pungitopo e, lei che non beve mai, prende un bel sorso del vermut che tiene per gli ospiti.

*

Passarono vari giorni di tranquillità finché, uno alla volta, gli oggetti intorno a lei ripresero ad accendersi di quella luce bluastra e sparire.
Un tavolo, due seggiole, il coltello del pane, due uova, due polli e tre galline. Perfino Filippo il gallo un giorno scomparve.
Stava rincorrendo un grosso tacchino, quando s’immobilizzò con una zampa in aria, divenne fluorescente, lampeggiò due volte e, il tempo d’intonare un mezzo chicchirichì, si disintegrò.
Lo stesso successe con quella delinquente della Gisella; grande e grossa com’era, s’illuminò tutta, le lanciò uno sguardo bovino e l’abbandonò!
Inutile pregare, inutile dire rosari.
Ah, il rosario di corallo rosso che teneva più caro dell’anima sua; anche quello una sera che stava sulla seggiola a dondolo a pregare sparì. Puff! e tra le mani non si ritrovò che aria!

*

Successe in chiesa.
Sotto agli occhi di tutti.
Nessuno poté dire che Marina Sullosfondo vaneggiava.
S’era arrivati alla comunione. Lei era sempre una delle prime servite. S’alzò dal banco dove si metteva sempre, il secondo, e s’avviò all’altare. Don Pietro stava in piedi con le Sante Ostie in mano. Un passo, forse due, un bagliore fluorescente e la vecchia cadde, come cadono gli alberi colpiti da un fulmine. Infarto si disse.
Ma, se brillò e senza vita stramazzò al suolo, il suo corpo non sparì, restò là come un fagotto di stracci gettato a terra.
A sparire fu per lei il mondo. Per sempre.

*

Paesino vicino Perugia.
Chiesa di Santa Maria Ausiliatrice.
Cimitero adiacente.
Su una lapide circondata da corone di fiori freschi, sotto alle date: 4 aprile 1917 e 26 luglio 2003 si può ancora leggere:
“Qui giace una sposa esemplare, una vedova inconsolabile, una donna pia e devotissima, la signora Marina Sullosfondo in Fluorescenza”.

 

"Fluorescenza" è stato pubblicato nella raccolta "Fluorescenze", Edizioni Il Filo, 2004.