Giovanni Buzi: Nero Bianco

1995

estratto

 

 

L'esplosione del Bianco

 

 

Il bianco, assenza dei colori, presenza d'ogni colore.

Vasta luce che acceca l'orizzonte, specchio che riflette il Nulla. Un Nulla di vibrazioni invisibili, animato dalle infinite tonalità dei colori che perdono gradualmente corpo per annullarsi e rinascere in un insieme compatto di geometrie cristalline senza peso, senza nome.

Presenze nell'assenza.

Onde magnetiche che si placano, trovano un accordo di magica stabilità.

L'illusione armonica della perfezione.

Formula matematica in cui lo zero trionfa, il caos delle cifre s'annulla.

L'energia è tesa a mantenere il proprio equilibrio come un serpente di ferro che si salda in un cerchio e, immobile, giace sulla sabbia.

Per il Bianco ogni traccia, ogni segno è superfluo. La nozione di leggerezza e pesantezza è annullata in mancanza d'ogni legge di gravità e così ogni nozione di direzione. Orientarsi non ha più senso. Siamo allo stesso tempo in tutti i luoghi e in nessuno.

Ogni affanno si placa, ogni brusio tace. Una sola nota, prolungata e amplificata all'infinito, senza possibilità d'eco.

Assenza del passato, del presente e la coscienza attonita della non necessità del futuro.

Geometria perfetta, autosufficiente e indifferente.

Ma il Bianco può esplodere.

Un segno si fa visibile, una macchia appare, un colore riprende nome. Ma il Bianco non è ancora esploso. E' diventato fondo, superficie graffiata, macchiata, colorata. Supporto tollerato perché necessario. Presto cancellato, dimenticato. Rimane spesso invisibile sotto strati di materia che alludono ad alberi immaginari, a cieli inesistenti, a segni più o meno riconoscibili. A volte leggibili.

Il Bianco m'è scoppiato tra le mani, senza volerlo.

Con pittura ad olio nera avevo tracciato l'idea del movimento di corpi spinti dal vento, dalla forza del mare e dalla tenace volontà di restare in un qualche equilibrio. Restava sulla tela, sulla carta bianca un groviglio di segni neri che annullavano parte del Bianco, creavano un proprio ritmo, cercavano una ragion d'essere, alibi d'esistenza. Ma le forbici sono entrate in scena e tutto è scoppiato. Spiritello maligno s'è divertito a frammentare braccia e muscoli tesi. Il mare, fatto di qualche tratto nero (che impotenza l'arte!), s'è completamente vanificato, il cielo ha ripreso la consistenza d'aria e i corpi si sono scheggiati come cristalli in frantumi. Non restavano che brandelli di tela e carta bianca tracciati di segni neri senza più alcun significato. Ed allora il Bianco ha preso il sopravvento.

Ha invaso spalle e onde, nuvole e piedi, teste e venti. Ha cancellato tutto, ed è rimasto impassibile a contemplare le proprie ferite nere. Non più segni che l'invadono, ma strappi, graffi, voragini che s'aprono e scoprono l'indecenza del Bianco, la sua nudità, la sua nullità, la sua perfetta imperfezione, l'arroganza, l'indifferenza, il caos dell'armonia, il limite dell'infinito, l'incoerenza dell'unità. Il Bianco è esploso e con esso l'impossibilità di ricoprirlo, d'imbellettarlo, d'utilizzarlo, di perdercisi. Superficie dura come una lastra di marmo. Scopre scorie e asperità senza carta d'identità, senza nome né indirizzo.

Cosa fare di quest'indecenze?

Distruggerle, far finta che non fossero mai esistite... Ricoprirle, ricomporle, camuffarle?

No, ve le lascio così. Fateci quello che volete. Io l'ho messe in una bella cornice nera separata dalla tela da un fine bordo dorato, (l'oro, la sublimazione d'ogni colore...).

Le guardo e quel Bianco mi fa pietà. Il nero non m'interessa.

Mi capita, a volte, di pensare ad un angolo di muro illuminato, un vasto mare all'alba, un'infinita pagina bianca, su cui tutto sarebbe possibile, su cui niente è più possibile.

Mi capita a volte, a volte solamente.

 

 

 


 

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